05 agosto 2020

La paura della paura: gli attacchi di panico


Gli attacchi di panico consistono nell’insorgenza di un intenso e improvviso senso di paura, disagio e ansia, accompagnato da sintomi sia emotivi che fisici.

Possono essere attesi, quando si verificano in presenza di situazioni specifiche, come ad esempio al momento del decollo per chi teme di volare, ma anche inaspettati, quando non è possibile rintracciare un fattore scatenante. Questo tipo di attacco di panico, in particolare, risulta specialmente spiacevole e invalidante, dal momento che chi ne è colto si trova nella condizione di non sapere cosa fare per riprendere il controllo della propria mente e del proprio corpo, non riuscendo a trovare una causa al proprio malessere.


Come si manifestano


In un attacco di panico, il cuore si mette a battere forte, si ha la sensazione di non riuscire a respirare a sufficienza, di non avere abbastanza aria e di stare per soffocare, sensazioni che spiegano come mai spesso l’attacco di panico venga confuso con l’infarto. In aggiunta, ci si sente strani, quasi alienati da se stessi, gli arti possono essere intorpiditi, deboli, e si può avvertire un intenso dolore al petto.

Altri sintomi fisici comuni includono sudorazione, tremori, nausea, sensazioni di testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore.


All’intensificarsi dei sintomi fisici, crescono anche l’angoscia e la paura, diventando gradualmente vero e proprio terrore. Nella mente si fanno strada pensieri negativi e confusi, per niente facili da controllare. Si teme di morire, di impazzire, di non avere via d’uscita o di non tornare mai più alla normalità.


Genericamente un attacco di panico ha una durata limitata, raggiungendo la massima intensità nel giro di 10 minuti o meno, ma per l’estrema spiacevolezza dell’esperienza, si ha la sensazione che il tempo si dilati all’infinito, lasciando per questo profondi segni anche una volta tornati alla normalità.


Le conseguenze


Tipicamente, dopo il primo improvviso attacco di panico, si teme il ripetersi della terrificante esperienza e, talvolta, si comincia a vivere nel terrore di una nuova crisi.

In questo modo, si alimenta un deleterio circolo vizioso di “paura della paura”, che porta la persona a rintanarsi sempre di più in situazioni protette, conosciute, controllabili e sicure.


I comportamenti di evitamento rientrano tra gli effetti più comuni di un attacco di panico, così che si cerca di non frequentare i luoghi in cui si è verificato l’attacco, o si elimina dalla dieta quel cibo che si stava mangiando quando è successo, fino ad arrivare a veri e propri rituali, come gesti e abitudini “sicuri” che ci si convince possano scongiurare le crisi. Ad esempio, si può arrivare a seguire una routine quotidiana “antipanico” che preveda la ripetizione rigida e invariabile delle stesse azioni, accompagnata dalla convinzione che, nel caso in cui queste non fossero rispettate, si verificherebbe automaticamente un attacco come conseguenza.


A causa delle condotte di evitamento, progressivamente più invasive, ci si sente sempre più soli. Si costruiscono dei muri tutt’intorno per difendersi, per preservare l’equilibrio personale e per non soffrire. Ci si convince che tutto ciò sia necessario, che sia l’unico modo per andare avanti. Si ha paura che gli attacchi di panico ritornino e la loro attesa diventa essa stessa un calvario, portando la persona a sentirsi costantemente in pericolo, fragile e indifesa.



Cosa fare per superare la crisi?


Quando l'attacco di panico colpisce, è importante sapere cosa fare. Innanzitutto, è importante imparare a riconoscere un attacco di panico e a distinguerlo da altre manifestazioni, avendo consapevolezza delle varie fasi di insorgenza, massima intensità e decrescita. Al contrario, è controproducente cercare di far finta di nulla o di sminuire un attacco di panico, perché si rischia di peggiorare la situazione e intensificare le sensazioni spiacevoli.


Si deve poi tenere a mente che nella maggior parte dei casi il panico provato non è collegato a pericoli reali, nonostante il corpo reagisca mediante l’attivazione di un meccanismo di fuga dalla minaccia. Inoltre, è fondamentale riconoscere che gli attacchi di panico non sono né mortali, né infiniti.

Una strategia efficace può essere quella di allontanarsi dalla situazione in cui ci si trova, cercando ad esempio di uscire dalla folla, oppure sedersi, aprire le finestre o spostarsi in una zona ombreggiata o maggiormente tranquilla.


È poi utile fare una pausa e rallentare il ritmo del respiro. Invece di sforzarsi di controllare i pensieri catastrofici che solitamente si associano ad un attacco, è maggiormente indicato concentrarsi sulla propria respirazione per rallentarla.

A questo scopo, una strategia rudimentale, ma generalmente efficace, consiste nell’appoggiare una mano all'altezza dell'ombelico e focalizzarsi unicamente sull'aria che entra ed esce dal corpo. Tecniche più elaborate, ma che richiedono conoscenze e pratiche specifiche, sono invece lo yoga, la meditazione e il training autogeno.


Si può inoltre estraniarsi mentalmente, ad esempio contando o risolvendo operazioni matematiche, oppure immaginare nel dettaglio delle situazioni piacevoli o il volto di una persona fidata.


Quando l’attacco di panico diventa un disturbo


A questo punto, è doveroso sfatare il mito secondo cui chi soffre di attacchi di panico abbia automaticamente un disturbo mentale, e sia, quindi, malato. Circa il 30% delle persone ha avuto o avrà nel corso della sua vita almeno un attacco di panico, rendendola una manifestazione molto comune.


Di fatto, un attacco di panico non costituisce un disturbo mentale da curare, a meno che non diventi l’elemento centrale della vita della persona che ne soffre, organizzandone l’esistenza, portandola a evitare un gran numero di luoghi o situazioni e limitando le sue possibilità, alimentando un senso di fragilità, di perenne preoccupazione e di mancanza di controllo, e facendola sentire perennemente in attesa di un nuovo attacco.

In questi casi, è importante non affidarsi a rimedi fai da te, tra i più deleteri il ricorso autonomo all’uso di farmaci, che diventa spesso sconsiderato, incostante ed eccessivo, fino a evolvere in un vero e proprio abuso. Risulta invece necessario richiedere l’intervento di una specialista, che possa aiutare la persona a comprendere il proprio malessere e a reindirizzarla verso il tipo di terapia più indicato per le particolari caratteristiche del caso.








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