26 settembre 2021

La coercizione psicologica



La coercizione psicologica, tra le influenze sociali, consiste in una serie di pratiche finalizzate nel costringere una persona a comportarsi involontariamente in un certo modo (che sia compiere o evitare di compiere un'azione) mediante l'uso di minacce, intimidazioni o qualche altra forma di pressione o forzatura. I sistemi coercitivi usano i meccanismi di influenza psicologica in modo repressivo, per indurre l'apprendimento e l'adozione di un'ideologia o di un insieme designato di credenze, idee, atteggiamenti o comportamenti.

Questo meccanismo viene indotto attraverso la minaccia credibile di qualche tipo di danno, correlato alla scelta della persona sottoposta a coercizione. Spesso comporta l'effettiva inflizione di un danno fisico o psicologico che rende credibile la minaccia, ma è la prospettiva di un ulteriore danno, che porta al cambiamento, alla cooperazione o all'obbedienza della persona costretta. Per questo, la coercizione è a tutti gli effetti ritenuta una forma di violenza.

La persona soggetta a coercizione può essere sottoposta a vari tipi di influenza coercitiva e a tattiche che inducono diversi gradi di ansia e stress nel corso del tempo.

In questo senso, è possibile distinguere varie forme di coercizione, in base a diversi criteri: tipo di danno minacciato, scopi o effetti.

 

Come avviene la coercizione

 

Considerando il tipo di minaccia, si può distinguere tra coercizione fisica, psicologica ed economica.

 

La coercizione fisica

 

Un modo di dire spesso utilizzato è "puntare una pistola alla testa di qualcuno", chiaro riferimento all'uso della minaccia fisica per costringerlo all'azione. Il contenuto della minaccia condizionata è l'uso della violenza fisica o della forza contro la persona, i cari o la proprietà della vittima. È la forma più comunemente considerata di coercizione, poiché risulta la più evidente. Sia criminali che forze armate, governi o regnanti di ogni sorta utilizzano da sempre questo metodo per imporre la disciplina e intimidire le masse o le opposizioni, per sottometterle, farle tacere o farne degli esempi.

Tuttavia, esistono anche forme non fisiche di coercizione, dove la minaccia di lesioni non implica necessariamente l'uso della forza fisica, ma si avvale di tecniche più subdole e sottili.

 

La coercizione psicologica


Nella coercizione psicologica, il danno minacciato riguarda le relazioni della vittima con altre persone. L'esempio più comune è il ricatto, in particolare il ricatto emotivo. Ma è possibile considerare molti altri casi, come le minacce di rifiuto, disapprovazione o esclusione da parte di un gruppo di pari, o anche la semplice rabbia o disappunto da parte di una persona cara.

 

 

La coercizione economica

 

La coercizione economica si verifica quando un detentore di una risorsa vitale usa il suo vantaggio per costringere una persona a fare qualcosa che non farebbe se questa risorsa non fosse monopolizzata. Ad esempio, se c’è un solo proprietario per l’unica riserva d'acqua, il suddetto può costringere la persona assetata a pagare un prezzo esorbitante per quell'acqua o fargli svolgere un lavoro eccessivo o di sfruttamento.

 

Gli obiettivi


La coercizione predatoria

In questo caso, lo scopo di chi costringe è quello di restringere il campo delle possibili azioni altrui, in modo da renderle strumentali ai propri interessi personali. Secondo molti filosofi sociali, questo tipo di comportamento predatorio diventerebbe quello prevalente in condizioni di anarchia sociale, ma ciò non esclude che possa essere riscontrato anche nei moderni sistemi di stampo liberista e capitalista.

La coercizione religiosa

 

Un approccio specifico alla coercizione predatoria è quello di matrice religiosa, in cui viene postulata un'entità di natura sovrannaturale che impone regole e restrizioni (tramite incarnazioni e vicari terreni), dispensa punizioni e doni, e la cui minaccia si impone secondo un arbitrario modello di comportamento da seguire.

 

La coercizione pedagogica e del pensiero

 

All'altro estremo dello spettro, si trovano i tentativi di usare la coercizione altruisticamente, come un dispositivo pedagogico per “migliorare” - in un senso che si suppone oggettivo da chi lo impiega - il modo di pensare delle altre persone, con particolare riguardo ai loro atteggiamenti e valori di base. La coercizione pedagogica può essere applicata all'interno di un contesto strettamente educativo, ed è per lo più rivolta ai bambini. In questo articolo, tuttavia, l'attenzione si concentrerà sulla coercizione del pensiero, vale a dire il tentativo di usare la coercizione per influenzare i valori di base delle persone adulte in generale.

In tutte le forme di coercizione del pensiero, l'obiettivo immediato è quello di obbligare le altre persone ad agire come se i loro criteri di scelta fossero identici a quelli dell’autorità che costringe. Tuttavia, questa semplice conformità di comportamento "esteriore" non è che un primo passo. Il vero e ultimo scopo della coercizione del pensiero è quello di indurre un cambiamento nella funzionalità oggettiva della persona che ne è vittima, vale a dire l'insieme di valori e regole di base con cui questa determina la propria scelta tra le alternative di un insieme possibile. La coercizione del pensiero è dunque generalmente destinata ad essere solo temporanea poiché, una volta ottenuto il cambiamento di valori desiderato, ci si aspetta che la vittima si conformi spontaneamente, senza bisogno di ulteriori coercizioni.

 

La coercizione ideologica

 

La coercizione ideologica è l'uso della coercizione del pensiero per modificare la filosofia sociale e politica della popolazione. Ciò si differenzia nettamente dalla semplice propaganda o dalla persecuzione degli avversari politici, in quanto il suo obiettivo è quello di forzare conversioni ideologiche individuali.

La persona sottoposta a coercizione ideologica è portata a riconsiderare in modo negativo gli aspetti più centrali della propria esperienza di sé e della propria condotta pregressa, fino a sentirsi “crudele” o “cattiva”. Il meccanismo è progettato per destabilizzare e minare la coscienza di base del soggetto, la sua consapevolezza della realtà, la visione del mondo, il controllo emotivo e i meccanismi di difesa. Nello specifico, si punta a creare forti sensazioni emotive negative associate a determinate condotte o pensieri, attraverso tecniche come l'umiliazione profonda, la perdita di privilegi, l'isolamento sociale, i cambiamenti di status sociale, il senso di colpa intenso, l'ansia e la manipolazione.

Gradualmente, la persona è portata a mettere in discussione, dubitare e reinterpretare la propria vita, adottando infine una nuova "realtà" (ovviamente quella voluta da chi ha applicato la coercizione ideologica).

 

La coercizione disciplinare

 

Da qualche parte nel mezzo, tra la coercizione predatoria e quella pedagogica, si trovano le forme di coercizione che sono usate come i principali strumenti di coordinamento dei sistemi di comando. Si tratta di organizzazioni che usano la coercizione per imporre ai loro membri modelli di divisione del lavoro finalizzati al raggiungimento degli obiettivi dell'organizzazione, che per una varietà di ragioni possono non essere sempre coerenti con gli obiettivi personali di ciascun membro. L'esempio più tipico di un sistema di comando è l'organizzazione militare, ma qualsiasi grande gruppo di produzione industriale può facilmente rientrare in questa categoria.


Gli effetti

 

Gli effetti della coercizione possono essere sostanzialmente diversi a seconda del tipo. Qui saranno considerati dal punto di vista legale, psicologico, sociale ed etico.


Effetti legali

 

Nella maggior parte dei sistemi giuridici, l'uso della coercizione fisica specifica da parte di privati è un reato penale in tutti i casi che non riguardano la difesa personale.

Il quadro si rivela più complesso per la coercizione psicologica, vista la sua maggiore elusività. Nella maggior parte dei sistemi, la coercizione psicologica è trattata come un reato penale quando è finalizzata all'estorsione (come ad esempio il ricatto). Viene anche punita quando porta a un'influenza indebita, definita come una relazione padrone-schiavo.

In aggiunta, la coercizione economica è generalmente illegale nella maggior parte dei sistemi di legislazione antitrust, dove può essere un reato penale - come negli Stati Uniti - o un reato amministrativo passibile di una semplice multa - come per la legislazione europea.


Effetti psicologici

 

Comportarsi in modi che non sono allineati con i propri valori personali può provocare grande disagio e sofferenza psicologica, in quanto le azioni vanno a contraddire non solo le credenze sul mondo, ma anche l’idea che si ha di sé stessi.

Questa incongruenza prende il nome di dissonanza cognitiva, ossia la sensazione che si prova quando si è costretti a fare (pubblicamente) qualcosa che (privatamente) non si vuole fare. In questo modo, si crea una disparità netta tra la propria cognizione (“non volevo farlo”) e il comportamento adottato (“l'ho fatto”). La dissonanza cognitiva può essere fonte di malessere e disagio, soprattutto se la disparità tra le proprie credenze e i comportamenti richiesti implica un aspetto centrale per il senso di sé.

Oltre al forte malessere, che può portare anche a veri e propri disturbi depressivi e ansiosi, la dissonanza cognitiva può influenzare profondamente il modo in cui le persone si sentono e si vedono, generando sentimenti negativi di autostima.


Effetti etici: coercizione e libertà

 

Se le pratiche di coercizione predatoria individuale sono generalmente disapprovate, se non punite dalla legge, la situazione si fa più complessa – e controversa – per le forme di coercizione non predatorie, come la coercizione politica e di pensiero.


La coercizione come negazione della libertà


Secondo questo punto di vista, ogni forma di coercizione non può mai considerarsi etica, in quanto ferisce la libertà, a prescindere dai suoi effetti dannosi sul progresso sociale. Il valore etico della libertà si fonda sull'idea che la coscienza non può essere costretta, ed è quindi il riferimento ultimo per la moralità. Ne consegue che - da un punto di vista etico - la coercizione non può nemmeno essere considerata come un male minore e/o necessario. Questo perché, non potendo generare un comportamento veramente coscienzioso, non potrà mai portare alla realizzazione di alcun valore etico, ma solo alla sua temporanea imitazione, per tornare allo stato iniziale una volta che viene a mancare la fonte della coercizione.


La coercizione come fonte di libertà

 

Sviluppando l'idea socratica secondo cui il male morale è il risultato dell'ignoranza, i filosofi stoici sostennero che la "vera" coscienza - e quindi la virtù - potesse essere raggiunta solo liberandosi dall'irrazionalità e dalle passioni, attraverso il severo autocontrollo tipico degli uomini saggi. Questo principio fu poi inserito nel quadro cristiano del peccato originale e della necessità di una redenzione "esterna", per produrre l'idea che in molte occasioni una coercizione specifica da parte di un’autorità potesse e dovesse prendere il posto dell'autocontrollo nel liberare le persone comuni dalle loro tendenze peccaminose. Quasi paradossalmente, la libertà spirituale personale venne così ad essere spesso basata sulla coercizione del pensiero da parte di pochi eletti sapienti e ritenuti superiori.

Soprattutto negli ultimi tempi, questo approccio alternativo è andato ben oltre il campo religioso, ed è condiviso oggi da tutti coloro che ritengono di avere un accesso privilegiato alla "vera" coscienza, alla “verità”, grazie ad una rivelazione divina, piuttosto che ad una conoscenza "scientifica" settoriale o a qualche altra circostanza ritenuta speciale da chi vuole uniformare tutti alla propria visione del mondo delle cose. A parte i principi religiosi, la "vera" coscienza può consistere nella coscienza di classe, nel nazionalismo, nell'altruismo come obbligo, nei valori "sociali" (ovviamente quelli della propria società, o addirittura di una società ideale, non realmente esistente), nella correttezza politica o in qualsiasi altra visione del mondo fortemente etica. L'elemento comune è la ferma convinzione che la coercizione – che sia quella legale da parte dello Stato, o quella di gruppi terroristici - possa e debba essere usata per realizzare la "vera" libertà per tutti, a prescindere dalle obiezioni e dalle conseguenze per i dissidenti.


Conclusioni

 

Nonostante vi siano interpretazioni etiche che cerchino di giustificare la coercizione alla luce di un supposto bene comune o interesse pubblico, risulta che i sistemi psicologici coercitivi violano i concetti più fondamentali dei diritti umani di base, garantiti da molte dichiarazioni, atti e giurisprudenza in tutto il mondo.

Se le forme di coercizione predatoria o violenta sono universalmente disapprovate e punite dalla legge, la coercizione ideologica e del pensiero rappresenta una forma di violenza nei confronti dell’individuo, per le gravi conseguenze fisiche e psicologiche che ha sulla vittima.

In questo articolo si è evidenziato come ogni forma di coercizione abbia profondi e gravi effetti negativi sull’intera psiche del soggetto, che può arrivare a mettere in dubbio anche la propria identità, valori e credenze, intaccando il nucleo fondamentale di chi si è. Le persone che ne sono vittima diventano confuse, intimidite e costrette al silenzio, diventando infine accondiscendenti per poter tornare a vivere. Oppure tenderanno a radicalizzarsi nelle loro posizioni iniziali e dissenzienti, diventando potenzialmente ostili e aggressivi nei confronti delle forze d'oppressione. Tali effetti non possono essere sottovalutati o messi in secondo piano, e l'utilizzo insensato di tali pratiche porterà, in un modo o nell'altro, a stati di sofferenza. 

 


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