19 ottobre 2021

Figli iper connessi: come gestire l’equilibrio tra controllo e libertà?




L’uso delle nuove tecnologie è ormai diventato sempre più pervasivo, dilagando in particolare nel mondo dei più giovani.

Secondo l’ultimo report fornito dall’EU Kids Online, una rete di ricerca internazionale volta a promuovere la conoscenza delle opportunità, dei rischi e della sicurezza online dei minori europei, i bambini e ragazzi italiani di età compresa tra 9 e 17 anni navigano online principalmente dal proprio smartphone, e la stragrande maggioranza lo fa tutti i giorni.

Sempre più bambini con meno di 13 anni frequentano pagine web, chat e social network, e si trovano a convivere con fenomeni in costante crescita, come cyberbullismo, messaggi d’odio, adescamento, sexting, pornografia, sfide rischiose (le cosiddette “challenge”) e uso improprio del denaro.

 

I pericoli sono dunque numerosi e, in effetti, la percentuale di bambini e ragazzi che si è sentita turbata da un’esperienza vissuta su internet (come messaggi di odio, o contenuti inappropriati all’età) è più che raddoppiata in 5 anni.

Un ragazzo su tre vive in maniera totalmente passiva i rischi della rete, senza intervenire nei contesti in cui si trova a partecipare, mentre uno su quattro non parla con nessuno dell'accaduto, anche quando pensa di vivere in un ambiente sicuro e di supporto, per esempio a casa, a scuola e tra coetanei.

È quindi importante analizzare la tematica, per individuare delle strategie che possano proteggere bambini e ragazzi dai pericoli della rete e, spesso, da se stessi.

 

Ma cosa li attrae?

 

Il primo passo da compiere per arginare i rischi della rete ed educare ad un uso corretto del web, consiste nel comprendere le ragioni per le quali bambini e ragazzi adottano certi comportamenti. Solo così si può valutare il reale impatto che l’utilizzo non appropriato di Internet può avere sui più giovani, tenendo in considerazione non solo gli aspetti pratici (come la perdita di denaro dovuta ad acquisti incontrollati), ma anche e soprattutto le conseguenze sul benessere psicologico.

 

I bambini sono attratti dai social, banalmente, perché sono attività molto divertenti, eccitanti, apparentemente socializzanti. Allo stesso tempo, il sistema spinge a mettersi in vetrina e a esibirsi per ottenere un riscontro dagli altri (i famigerati “like”), una dinamica estremamente potente per un adolescente o pre-adolescente, in continua ricerca di riconoscimento e di prove del proprio valore e capacità. La ricerca di apprezzamento e accettazione, ossia di like, porta a condividere proprie foto, anche private o intime e non solo tra conoscenti, oppure a compiere azioni ritenute divertenti o scherzose, considerandole un modo per raggiungere l’obiettivo implicito al mondo dei social, cioè diventare popolare (e, in maniera più ampia, essere amato dagli altri). Agli occhi di un ragazzo, questa è la sola cosa importante, per cui tutto il resto, le possibili conseguenze, implicazioni o rischi, viene dimenticato, minimizzato o direttamente incompreso.

In questo senso, le challenge o sfide estreme, ossia tutte quelle catene che nascono sui social network in cui spesso si viene nominati o chiamati a partecipare da altri attraverso un tag, sono un mezzo per soddisfare il profondo bisogno di sentirsi accettati, riconosciuti nel proprio ruolo sociale e apprezzati dai coetanei, arrivando ad esibirsi con azioni tanto pericolose quanto apparentemente insensate (come rischiare di avvelenarsi con del detersivo per bucato o strozzarsi fino a soffocare) pur di ottenere approvazione e consensi. L’opinione dei compagni, degli amici e del numero infinito di contatti in rete, molto spesso costituito in gran parte da sconosciuti, condizionano profondamente il senso di giudizio e le decisioni.

Inoltre, le sfide online sono un modo per competere con sé stessi o gli altri, mettere alla prova i limiti e le regole, vedere fino a che punto si può arrivare, e spingersi sempre oltre, nel tentativo di esorcizzare le proprie paure (e in particolare le più profonde della natura umana, come quella per la morte), come discusso in questo articolo.

 

Anche il legame tra sessualità e nuove tecnologie si basa su presupposti simili. Il web viene usato come mezzo per scoprire il sé e sviluppare la propria autostima e senso di valore personale, per cui anche l’aspetto sessuale non può essere ignorato. Se la pre-adolescenza è un periodo che vede l’emergere di una fisiologica curiosità di tipo esplorativo, sia rispetto al proprio sesso che all’altro, è anche vero che i contenuti offerti dalla rete non sono assolutamente fase-specifici, così che molto spesso anche i giovanissimi entrano in contatto con elementi non adatti alla propria età, quando non dannosi per lo sviluppo emotivo.

A questo si aggiunge la condivisione indiscriminata di contenuti personali, sopra a tutto i cosiddetti selfie, a sfondo sessuale o comunque in contesti compromettenti.

La sessualità online ha solo una valenza eccitatoria, strumentale (e quindi estremamente superficiale e impersonale), un mero espediente per ottenere piacere e usare l’altro a questo scopo, senza minimamente prendere in considerazione – e dunque apprendere ed elaborare – tutte le implicazioni di natura relazionale ed emotiva ad essa intrinsecamente connesse.

Davanti all’ansia derivante dai rapporti sociali, tipica dell’età preadolescenziale, il computer e lo smartphone diventano porte d’accesso a un mondo virtuale percepito come protettivo, rassicurante, un luogo sicuro, in cui non c’è minaccia, in quanto non sono necessarie particolari competenze relazionali né inibizioni, e in cui rifugiarsi per un tempo sempre più lungo.

 

Tuttavia, per chi non ha in repertorio esperienze altre, come un giovanissimo, i contenuti di tipo sessuale con cui si viene in contatto online si elevano inevitabilmente a parametro di riferimento, diventando, gradualmente, ma inesorabilmente, “la realtà”. Così, un tipo di sessualità basato sulla finzione, l’artificio e la recitazione, diventa “LA sessualità”. I ragazzi e le ragazze cominciano a credere che quanto vedono online sia la norma, dalle dimensioni del pene alla frequenza dell’atto sessuale, da come debba svolgersi un rapporto sessuale all'aspetto che una persona sessualmente attiva deve avere, facendo proprio un modello di “homo eroticus” totalmente artefatto e lontano dalla realtà. Tale modello, oltre a essere inverosimile e costruito, è quindi anche impossibile da raggiungere, e questo non può che generare ansia in chi non possiede altri riferimenti e la consapevolezza di sé, il che porta all’evitamento delle relazioni “reali” per preferire gli scambi virtuali, in cui ci si illude di avere il controllo della situazione e la certezza di non essere giudicati. Nei gruppi, poi, la sessualità diventa un altro ambito in cui fare a gara e dover dimostrare qualcosa, a sé stessi prima ancora che agli altri. Da questo possono derivare, in molti casi, problematiche sessuali significative già in età adolescenziale.

 

È evidente dunque che, per i preadolescenti e gli adolescenti, il mondo virtuale è un mezzo, vissuto come sicuro, libero e poco rischioso di soddisfare tutta una serie di necessità e bisogni evolutivi fino a pochi anni fa espletati in contesti sociali autentici, minimizzando al contempo l’ansia del confronto e la possibilità di rifiuto e delusioni. Questo è il punto di partenza essenziale per poter fare qualsiasi riflessione sulle strategie da adottare per gestire il fenomeno, così che siano il più possibile adattate alle reali esigenze del ragazzo e non calate dall’alto in maniera arbitraria e, quindi, poco efficace.

 

Come intervenire

 

Prima di discutere di strategie pratiche, è importante fare un riflessione sul ruolo dei genitori e sulla necessità di trovare un equilibrio tra protezione e disponibilità all’esplorazione.

Se un figlio preadolescente chiedesse di uscire la sera e andare in un posto che non si conosce, con persone di cui non si sa l’identità, non c’è genitore che non lo fermerebbe immediatamente sulla porta. Allo stesso modo, anche nel web c’è bisogno di una supervisione, calibrata in base all’età.

Ciò nonostante, limitarsi a proibire la rete non può essere una soluzione, un po’ per le pressioni sociali, un po’ per lo stesso benessere dei figli, che si vedrebbero negato uno dei principali – e talvolta purtroppo l’unico – canale di comunicazione con i pari.

 

Si tratta quindi di cercare di ritardare l'accesso alla rete e alle tecnologie (o a specifiche parti e strumenti), invece che accelerarlo, ricordando che l’età evolutiva si basa su un concetto di fase-specificità. In altre parole, c’è un tempo per ogni cosa, e ciò vale anche per il mondo delle tecnologie.

Si possono mettere in atto semplici comportamenti, che possano nel tempo trasformarsi in abitudini, volti a tutelare la sicurezza dei ragazzi. Così, lo smartphone deve essere disponibile al genitore che, periodicamente, deve controllare le attività del bambino, o semplicemente controllare la cronologia delle navigazioni (o la sospetta mancanza della stessa). A questo proposito, è opportuno conoscere e applicare delle impostazioni di sicurezza specifiche, per gestire e controllare il dispositivo usato dai bambini, impostando i blocchi più opportuni ed avendo sempre sotto controllo le attività online dei propri figli. Nel caso in cui il bambino utilizzi un computer, si può creare un profilo di accesso al dispositivo con dei permessi limitati, una procedura più complicata ma sicuramente utile. Per proteggere la navigazione, poi, si possono installare dei software specifici sul dispositivo affinché blocchino l’accesso a certe tipologie di contenuti e siti.

 

Se per i ragazzi più grandi il controllo diventa più complicato, è anche vero che, se abituati a condividere le informazioni e a dei confini precisi concordati nel tempo, il controllo è comunque possibile. È consigliabile che le password di accesso ai Social Network siano condivise, mentre per il controllo delle applicazioni di messaggistica istantanea come WhatsApp, o Telegram, si può concordare di condividere con chi si scambiano messaggi, senza entrare nel dettaglio dei contenuti, così da mantenere un equilibrio tra supervisione e privacy e non essere eccessivamente invasivi. È altrettanto importante informarsi seriamente sui fenomeni socio-digitali e sulle caratteristiche e potenzialità delle nuove tecnologie, senza farsi risucchiare da queste, diventandone dipendenti a propria volta, per avere la possibilità di entrare nel mondo dei propri figli.

A questo proposito, come si è esposto finora, se fissare delle regole chiare è essenziale per poter tenere sotto controllo l’uso che i figli fanno degli strumenti digitali, la strategia più efficace per poter garantire lo sviluppo di un senso di responsabilità, di capacità critica e di sicurezza sul web è indubbiamente rappresentata dal valore dell’esempio.

Si può cominciare scegliendo dei luoghi in cui i cellulari e i tablet non sono ammessi, come in camera da letto o in cucina, oppure dei momenti in cui le tecnologie sono messe da parte, come i pasti o le domeniche da trascorrere tutti insieme. Bambini e ragazzi possono così essere abituati ad un uso regolato, sano e intelligente degli strumenti digitali, perché hanno la possibilità di apprenderlo dall’esempio dei propri genitori.

 

Le scelte in merito a supervisione, controllo e uso delle tecnologie vanno adeguatamente spiegate ai bambini e ai ragazzi, secondo le capacità di ognuno, aprendo un dialogo sulle attività intraprese con computer e telefono, che sia basato sulla fiducia, ma anche sulla necessità di un controllo.

I ragazzi vanno fatti riflettere sul proprio modo di stare online, e in particolare prima di scrivere, postare o inoltrare contenuti. Ad esempio, quando si nota che il ragazzo si scatta o condivide una foto, si può porgli delle domande non giudicanti, ma esplorative ed interessate (“Che messaggio volevi trasmettere con quella foto?”) per comprendere e stimolare la riflessione sulle sue motivazioni.

Se da una parte questo consente di conoscere meglio i propri figli, scoprendo dei nuovi aspetti del loro modo di ragionare, dall'altra si permette di aprire un dialogo in cui aiutarli a considerare che ciò che è pubblicato sul web è permanente, che una semplice foto può rivelare moltissime informazioni, anche in modo indiretto e involontario, che i contenuti possono essere diffusi velocemente e facilmente, oltre al proprio controllo, e che non si può mai sapere con certezza la vera identità di una persona conosciuta tramite le tecnologie.

 

Dal punto di vista psicologico, si può stimolare i ragazzi a riflettere in merito alla differenza, se esistente, tra come presentano sé stessi agli altri nel mondo virtuale online, e nella vita reale offline, e a ragionare sulle motivazione di tale incongruenza.

Un altro tassello fondamentale è rappresentato dalla disponibilità, che deve essere resa esplicita, ad affrontare con i ragazzi tematiche relative all’area della sessualità, avendo cura di spiegare (anche attraverso l’esempio in prima persona) l’importanza di costruire relazioni interpersonali basate sulla fiducia e sul consenso.

In questo senso, sia per il mondo del digitale, ma anche nella vita in generale, è essenziale che i genitori si pongano come “porto sicuro”, un riferimento al quale i ragazzi possono rivolgersi per avere conforto, consigli e rassicurazioni ogni volta che ne abbiano necessità.

 

In conclusione, bambini e ragazzi si trovano sempre più immersi nel mare digitale, trovandosi a nuotare tranquilli, ignorando i pericoli che si annidano sotto la superficie, la patina luccicante e colorata con cui si propongono siti e social network. Sta dunque prima di tutto ai genitori educare alla consapevolezza di quanto si nasconda nell’immenso oceano del web, fungendo allo stesso tempo da faro, da riferimento e da esempio che indichi la via e il modo per poter usare gli strumenti. Per non venire, al contrario, usati da questi.


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