22 giugno 2021
Come presentato in questo articolo, durante l’adolescenza si manifestano conflitti a tutti i livelli dell’esperienza.
Sul piano relazionale, per quanto riguarda il ruolo di figlio, l’ingresso nella fase adolescenziale comporta tutta una serie di cambiamenti che trasformano bambini dipendenti e affettuosi, in giovani ribelli dediti a provocare e mettere in discussione l’autorità dei genitori, causando spesso tensioni e litigi in famiglia.
Questo accade poiché gli adolescenti sono chiamati a costruire un’identità unicamente propria, svincolandosi dall’ambiente e dalla cultura familiare, un compito di sviluppo tipicamente rintracciabile nella messa in discussione dell’adulto, la cui funzione genitoriale è continuamente avversata e messa alla prova attraverso la trasgressione e la provocazione.
Da parte loro, di frequente i genitori si trovano disorientati di fronte agli atteggiamenti e ai comportamenti dei figli in crescita, faticano a riconoscerli e a trovare un punto d’incontro. Sentendo di non avere più il controllo, scatta nel genitore il timore che la situazione possa velocemente sfuggire di mano, il che porta a ulteriore nervosismo e tensione.
Per questi (e altri) motivi, l’adolescenza dei figli può essere un momento della vita familiare difficile da affrontare.
Per poter trovare la serenità in un momento di crisi, è importante innanzitutto conoscere le caratteristiche del conflitto, così da assegnargli i giusti significati e poter poi trovare strategie adatte, nuove e maggiormente funzionali, per affrontarlo.
Rileggere il conflitto
Durante l’adolescenza, i ragazzi sperimentano maggiormente loro stessi nel mondo, entrano in contatto con nuove conoscenze e si approcciano a regole e concezioni differenti da quelle vissute durante l'infanzia. Di conseguenza, tendono ad introdurre tali idee e valori anche in famiglia, il che spesso porta a mettere in discussione le figure genitoriali e i valori di riferimento. Allo stesso tempo, a quest’età si iniziano a percepire le fragilità, i punti deboli e i limiti degli adulti, che nell’idealizzazione tipica della fase infantile, sembravano invincibili e onniscienti. L’adolescente inizia così a tollerare sempre meno le regole e le imposizioni della famiglia, e a maturare il desiderio di inserirsi sempre più autonomamente nell’ambiente sociale.
Tale bisogno di indipendenza si manifesta spesso attraverso l’attacco delle figure genitoriali, in favore di una spesso esibita autonomia. Come in un gioco di specchi, l'adolescente vede negli altri pregi e difetti che, riportati poi su di se, lo spingono ad interrogarsi e a costruirsi un'immagine sua propria.
Mentre il compito del figlio è rappresentato dalla messa in discussione dei parametri di vita, dei valori e delle regole precedentemente acquisiti in modo passivo dalla famiglia (così da strutturare una propria identità), il compito dei genitori è trattenere, o meglio limitare, questa spinta nell’interesse della sicurezza e della responsabilità dell’adolescente.
In questo senso, l’adolescenza può essere considerata una fase di rivendicazione, in cui è però importante ricordare che ciò che viene attaccato non è il genitore in sé, in quanto individuo, bensì la funzione che ricopre, il suo ruolo all’interno della vita del ragazzo.
La rivendicazione passa il più delle volte attraverso l’aggressività e il conflitto, e la caratteristica principale dei conflitti relazionali che contraddistinguono quest’età è il loro essere estremi. Tale deriva comportamentale può connotarsi in due direzioni, tra loro solo apparentemente contrapposte. Da una parte una modalità attiva, che porta l’adolescente alla ribellione (spesso fine a se stessa) sia verbale che fisica, in qualche caso anche violenta. La trasgressione, tratto tipico adolescenziale, rappresenta la messa alla prova del proprio senso di onnipotenza, della misura di sé in base ai limiti imposti da altri (genitori o altre figure di autorità). Dall’altra, si ha una modalità passiva, in cui prevale l’isolamento o il silenzio, da considerare un atteggiamento egualmente aggressivo nei confronti del mondo.
La forma assunta dal conflitto e la modalità con cui l’adolescente esprime il tentativo di svincolarsi dalla famiglia derivano in larga parte dal rapporto instaurato tra genitori e figli negli anni precedenti, ovvero dal livello di autonomia di scelta consentito o dal grado di rispetto riconosciuto ai vari membri.
Ad esempio, per dei genitori molto rigidi durante l’infanzia, sarà piuttosto arduo rinunciare alla propria direttività, così che il conflitto si concretizzerà molto di frequente. Altri genitori, invece, di atteggiamento libertario e lassista, o che abbiano per lungo tempo instaurato un rapporto “paritario” con il figlio (come fossero loro stessi dei bambini), probabilmente si scontreranno con la dura realtà di un figlio o una figlia che, entrato in una nuova fase, non vorrà riconoscerli come suoi pari, il che li metterà davanti alla propria, perduta, giovinezza.
Ciò che va ricordato, in ogni caso, è che durante l’adolescenza il conflitto tra genitori e figli rappresenta una tappa fondamentale e sana per lo sviluppo della personalità. La ribellione è parte del percorso di crescita dei figli e, molte volte, non è riferita direttamente al rapporto specifico con i genitori, di cui gli adolescenti hanno ancora tanto bisogno, ma alla necessità di violare i limiti (quali che siano) per scoprire i propri. Solitamente, i genitori fanno fatica ad accettare questa ambivalenza, soprattutto quando i figli esprimono il bisogno di autonomia attraverso l’opposizione e la non accettazione delle regole.
In questo senso, non dovrebbe essere la presenza delle tensioni e dei litigi a destare preoccupazioni, quanto piuttosto la loro assenza, segno di un mancato svincolo e di un rapporto simbiotico tra genitori e figli, che impedisce a questi ultimi di costruirsi un’identità – e una vita – propri.
È possibile concludere che è attraverso il conflitto e la sfida con le figure di riferimento che l’adolescente getta le basi per acquisire una maggior indipendenza e scoprire il proprio posto nel mondo.
Gestire le sfide degli adolescenti
Considerando la famiglia come un sistema interconnesso, denso di influenze reciproche e che costituisce più della somma dei singoli membri, i cambiamenti dei figli adolescenti che diventano adulti esigono delle modifiche anche al modo di essere genitori. Questi ultimi sono, per l’appunto, non più incaricati di supportare e proteggere l’infanzia, ma chiamati a dialogare sempre più alla pari, pur mantenendo ognuno i propri ruoli, con un altro individuo, che diventa progressivamente sempre più autonomo e a sua volta adulto.
In questo senso, la
famiglia ha l’arduo compito di raggiungere un equilibrio tra due
opposti: da un lato favorire il cambiamento e l’indipendenza
emotiva, permettendo la separazione dall’adolescente, dall’altro
restare unita per poter essere una “base sicura” per
l’adolescente, soprattutto negli inevitabili momenti di bisogno e
di difficoltà.
In altre parole, per aiutare il figlio
adolescente, i genitori dovrebbero essere prima di tutto in grado di
contenerne le oscillazioni tra atti di esplorazione del mondo e
movimenti di ritorno al “nido sicuro” della famiglia.
Per affrontare in modo adeguato le sfide lanciate giornalmente dagli adolescenti, è possibile ricorrere a specifiche strategie che possono aiutare i genitori a superare i conflitti o almeno a comprenderne la causa.
In primo luogo, è importante impegnarsi per continuare a nutrire il rapporto, cercando nuovi spunti e aspetti in comune, dando ampio spazio al dialogo. Anche se la scuola può essere un buon argomento di partenza, si può cercare di ampliare la conversazione includendo altri aspetti, anche maggiormente personali, che facciano sentire l’adolescente accettato per quello che è. All’opposto, sentirsi repressi e incompresi porta facilmente i ragazzi a mettere in atto comportamenti oppositivi per ribellarsi alle imposizioni genitoriali. In questo frangente è essenziale ricordare di sospendere il più possibile il giudizio, cercando al contrario di comprendere i motivi di un certo interesse o inclinazione apparentemente insensata o estrema.
In modo simile, nei momenti di conflitto, è molto utile che un genitore provi a mettersi empaticamente nei panni del proprio figlio, ascoltandone e legittimandone i bisogni e le emozioni, per comprendere cosa si cerca realmente di comunicare attraverso il comportamento conflittuale.
In questo senso, il conflitto non va negato o ignorato, bensì gestito e affrontato come un’occasione di conoscenza e crescita reciproca (seppur asimmetrica), in cui anche i genitori possono esprimere se stessi, con i propri desideri, frustrazioni, sentimenti e bisogni.
La rabbia e l'aggressività
In una situazione di cambiamenti continui e di equilibri precari, i conflitti si possono fare accesi, in un’escalation reciproca fatta di accuse e recriminazioni che può anche sfociare nella violenza, verbale o fisica. La gestione di determinati vissuti emotivi è delicata, in particolare per quanto riguarda l’espressione della rabbia.
Qui è utile precisare che il compito di mediazione e contenimento spetta esclusivamente al genitore, come prerogativa sua propria, poiché sarebbe ingiusto e inverosimile pretendere che un adolescente possa esibire tale controllo su di se, prima di averlo effettivamente acquistato con l'esperienza degli anni dell'adolescenza.
Per prima cosa, in una discussione, il genitore è chiamato a monitorare il livello di tensione fra le parti, al fine di evitare un’escalation di tensione e rabbia.
Se poi i toni si dovessero comunque alzare troppo, l’adolescente ha innanzitutto bisogno di un ambiente che lo possa contenere, in grado di resistere ai propri attacchi e in cui possa sperimentare dei confini, che possono certamente essere vissuti come limitanti e frustranti, ma che al contempo forniscono protezione, sicurezza e senso di controllo. È quindi importante che i genitori siano in grado di offrire confini delimitati e creare frontiere che contengano il figlio provocatorio. Ad esempio, in una situazione in cui l’adolescente cerchi di sottrarsi al confronto per la troppa frustrazione, esibendo in maniera spesso teatrale l’intenzione di fuggire dalla casa familiare, una strategia potrebbe essere quella di stare con lui, senza controagire o farsi prendere dall’emotività del momento, ma piuttosto stabilendo una comunicazione incentrata sulla disponibilità all’ascolto e sul riconoscimento dei vissuti (“vedo che sei molto arrabbiato, lo capisco, io sono qui per ascoltarti”).
Quando una discussione si intensifica in modo eccessivo, arrivando a diventare provocatoria nei confronti di un membro della famiglia, i genitori hanno il compito di interrompere ciò che sta accadendo senza farsi trascinare dalle proprie emozioni, e rimandare la discussione ad un momento successivo, quando tutti i soggetti coinvolti saranno maggiormente disponibili e in grado di usare un linguaggio rispettoso e costruttivo. Prima di passare all’azione, in altre parole, è importante far sbollire la rabbia e comprendere cosa c’è sotto il comportamento provocatorio o aggressivo, così da evitare che il conflitto sfoci in violenza verbale o fisica a causa della rabbia e della frustrazione.
A questo proposito è importante rendersi consapevoli delle proprie modalità di comunicazione, delle proprie vulnerabilità e dei comportamenti istintivi che si tengono davanti ad un attacco, così da riuscire a modificare la qualità del linguaggio e utilizzare parole che non stimolino posizioni difensive o aggressive nell’interlocutore, ad esempio evitando frasi valutative ed accusatorie (“Non hai fatto ciò che hai promesso”), o che hanno a che fare con un giudizio sulla persona (“Sei inaffidabile”, “Sei un disastro”). In altre parole, i genitori dovrebbero impegnarsi per imparare a “litigare bene”, per poter trasmettere tali modalità anche ai figli. Non bisogna dimenticare che essere un modello di comportamento è il modo più potente di cui un genitore può disporre per educare e tramandare i propri valori.
Nei casi in cui ogni strategia fallisce, i conflitti diventano eccessivi sia per quantità che per intensità e vi sia un grado significativo di sofferenza psicologica, è importante valutare se chiedere il supporto di un professionista della salute mentale, che possa aiutare l’adolescente a incanalare in maniera maggiormente positiva le spinte all’autonomia e all’individuazione, e la famiglia a trovare delle nuove modalità di stare insieme, per mediare le conflittualità tra genitori e figli ed impedire al conflitto di degenerare.
Informazioni personali

- Emma Messina
- Sono una psicologa abilitata e un’insegnante, con esperienza più che quinquennale nel settore.
Nel mondo scolastico, ho maturato un'esperienza particolare nei confronti di ragazzi con disturbi dell’apprendimento, problemi di motivazione e di ansia da prestazione. Da anni tengo lezioni sul metodo di studio a studenti di ogni età, per promuovere l’autonomia, rinforzare l’autostima e recuperare le abilità scolastiche.
Parallelamente, offro un servizio di sostegno ai genitori, affinché possano mantenere e consolidare i risultati ottenuti dai figli in un clima di serenità e reciproca comprensione.
Servizi offerti:
- Processo di diagnosi e Valutazione Psicologica;
- Tutoring elementari/medie/superiori/università;
- Orientamento;
- Crescita personale;
- Sostegno genitoriale;
- Consulenza psicologica.
Cerca nel blog
Post in evidenza
Stress e digestione: quando il corpo manda segnali
La vita frenetica che ormai caratterizza la modernità è una continua fonte di stress, anche per chi cerca di sottrarsi ai ritmi incalzanti e...

Post più popolari
-
La coercizione psicologica, tra le influenze sociali, consiste in una serie di pratiche finalizzate nel costringere una persona a comportar...
-
Come presentato in questo articolo , durante l’adolescenza si manifestano conflitti a tutti i livelli dell’esperienza. Sul piano relazional...
-
La prima cosa che viene in mente alla maggior parte delle persone, quando si parla di ansia, è il malessere e lo stato di preoccupazione c...
0 commenti:
Posta un commento