31 maggio 2021

Relazioni problematiche: il conflitto adolescenziale




 

L’adolescenza è quel periodo di transizione che intercorre tra l’infanzia e l’età adulta, ed è scenario di cambiamenti radicali sia dal punto di vista fisico e psicologico, sia per quanto riguarda i rapporti sociali. Si tratta quindi di una fase particolarmente importante e delicata dello sviluppo dell’individuo, un momento in cui anche il legame con i genitori viene ridefinito e rinegoziato, cosa che può indurre all'insorgere di conflitti genitori-figli e difficoltà di comunicazione.

Questo perché, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, si manifesta un momento di crisi che vede la coesistenza di due tendenze opposte: da una parte, la spinta verso l’indipendenza e l’acquisizione della veste di adulto, mentre dall’altra la difficoltà a lasciare il mondo sicuro dell’infanzia e il ruolo di bambino, protetto e senza responsabilità.

 

 

Da tale situazione di impasse generale derivano altri conflitti interiori tipici di quest’età della vita, che l’adolescente vive con se stesso e con la propria identità.

A loro volta, tali conflitti influenzano significativamente il rapporto con i genitori, con la possibilità che si creino problemi relazionali e contrasti in famiglia.


In questo articolo si porrà l’attenzione sui conflitti che interessano l’identità propria dell’adolescente, approfondendo la relazione problematica che questi può avere con se stesso.

I conflitti con la famiglia e la relazione coi genitori saranno qui volutamente tralasciati, per essere debitamente approfonditi in un articolo interamente dedicato a questo tipo di contrasto.



I conflitti in adolescenza


Durante la sua crescita, l’adolescente attraversa diversi passaggi nella definizione ed affermazione della propria identità che, nelle sue diverse sfumature, possono causare conflitto e ambivalenza, a cui si risponde in maniera apparentemente volubile ed imprevedibile.



La separazione


A livello relazionale, nella psiche si ripropone il processo di separazione avvenuto durante l’infanzia, che porta il ragazzo a prendere le distanze dai genitori. A questo proposito, si parla di adolescenza come “seconda nascita”, intesa come introduzione del ragazzo nella società, società, una comunità molto più ampia e variegata del nucleo familiare.


Rispetto alla sfera sociale, durante l’adolescenza si ha un progressivo spostamento degli investimenti emotivi, che progressivamente passano dalle figure genitoriali ai pari. Assume sempre maggiore importanza il gruppo dei coetanei e le amicizie arrivano ad occupare un ruolo prioritario su altri ambiti, compreso quello familiare.

Le relazioni coi pari rappresentano un terreno di sfida e di competizione, ma anche di complicità e di identificazione, in cui gli aspetti di aggressività si accompagnano a quelli di solidarietà, un equilibrio degli opposti non sempre semplice.

Con i coetanei, i ragazzi iniziano a sperimentare nuove conoscenze e a confrontarsi con altri modelli di stare in relazione e altre regole, valori e idee, che possono condurli a mettere in discussione ciò che hanno appreso dalle proprie figure genitoriali.

L’adolescente si ricava degli spazi personali, sia in casa sia fuori (come sport, amicizie o attività ricreative) cercando così di mettere dei confini, prima concreti e poi mentali, tra sé e la famiglia. 

Come esempi facilmente riscontrabili, la cameretta che si trasforma da area di gioco a luogo riservato e da preservare dai genitori, piuttosto che la rivendicazione di spazi personali in bagno. Per quanto riguarda il confine psicologico, si può riscontrare una progressiva preferenza nel confidarsi con gli amici, mentre la famiglia è perlopiù lasciata all’oscuro.




L’esplorazione


Il secondo conflitto nasce dal bisogno, percepito dall’adolescente, di esplorare appieno il mondo circostante, così da soddisfare la fame di conoscenza e di risposte, ma soprattutto per percepire il suo potenziale ed i suoi limiti, con l’insicurezza e i dubbi che questo comporta.

Per un adolescente, esplorare significa, in qualche modo, immergersi nel mondo del possibile, prendere contatto con dimensioni finora sconosciute e scorgere in questi nuovi territori delle forme che si addicono (o non si addicono) alla strutturazione della propria identità.


Per l’adolescente non basta più il ruolo filiale che ha quasi saturato la sua esperienza fino a quel momento, ma prova un bisogno inedito di trovare una collocazione e una identità che si inseriscano nell’ambiente sociale più ampio, che culmina nella ricerca di una nuova espressione del sé. In questa fase della vita, l’ottica si sposta dal passato al futuro, un futuro che, però, è puro potenziale, in quanto è ancora tutto da determinare. Il futuro per l’adolescente non ha contorni precisi e non possiede certezze contenutistiche o formali (motivo per cui risulta spesso ansiogeno e fonte di insicurezza e timore), bensì trova espressione nell’ipotetico, ovvero lo spazio del possibile. Per muoversi in questa dimensione di massima incertezza e massimo potenziale, l’adolescente prova a testare le sue possibilità di essere, muovendo i primi passi nell’assunzione dei ruoli sociali, di regola vari e frammentati.

In questo modo, la composizione della sua identità si disperde in tante possibilità di essere, che ancora non rappresentano aspetti specifici e definiti del sé, ma si mantengono, piuttosto, come tanti orizzonti plausibili, aspettative e immagini alternative di sé.



L’affermazione dell’identità


Con la progressiva definizione dell’identità personale, l’adolescente inizia a prendere consapevolezza delle proprie attitudini e preferenze, dei valori personali e dei pregi e dei difetti. Il senso di identità è rafforzato dall’espressione e forte affermazione della propria individualità, che porta tipicamente all’opposizione con i parametri ed i valori familiari, a prescindere da quali essi siano.

Se da una parte l’adolescente è portato a stagliarsi dallo sfondo comune della società e a ricercare e individuare il proprio posto nel mondo collettivo, accomodandosi alle richieste esterne, deve anche cercare di rispettare e assecondare le proprie istanze individuali, i propri interessi e il proprio modo, unico, specifico e irripetibile, di essere.

La dialettica tra "essere o non essere" se stessi è, quindi, alla base della formazione dell'identità e della ristrutturazione del concetto di Sé, che si realizza anche grazie alle relazioni sociali con i coetanei e con altri adulti, diversi dai genitori, in cui potersi rispecchiare e identificare.

Se questo processo avrà esito positivo, l'identità acquisita sarà frutto della sintesi originale e unica di tutte le identificazioni e di tutti i ruoli assunti, in accordo con i propri interessi e valori.



Autonomia e protezione


Come anticipato nell'introduzione, un conflitto tipico dell’età adolescenziale vede la contrapposizione tra il bisogno di autonomia e quello di protezione, che caratterizza l’infanzia. Da un lato, il ragazzo, a seguito dei cambiamenti fisici e psicologici subìti, vuole essere più libero e autonomo e desidera affermare sé stesso come individuo separato dai genitori. Dall’altro, tuttavia, percepisce ancora il bisogno di essere protetto, di avere delle tutele e di non assumersi tutte le responsabilità che caratterizzano l’età adulta, che generano ansia e paura. Come risultato, si creano sentimenti di ambivalenza e comportamenti contraddittori, che portano l’adolescente a rifuggire il contesto familiare quando non subisce pressioni particolari, e a ricercarlo nel momento del bisogno.



La sessualità


In adolescenza, sia nei maschi che nelle femmine, l’immagine di sé è strettamente legata all’aspetto fisico, ambito in cui avvengono molti dei cambiamenti più evidenti (dall'esterno) a cui far fronte. Lo sviluppo fisico dell’età puberale rappresenta tipicamente il primo segnale concreto di una trasformazione che interessa anche il mondo interiore. Il ragazzo assiste quasi da spettatore al proprio corpo in rapida trasformazione e, vedendosi diverso (quindi faticando a riconoscersi), deve fare i conti con l’abbandono dell’aspetto infantile, per avviare un percorso che culmina nell’assunzione di un ruolo di genere maschile o femminile.

 

I cambiamenti che avvengono nell’aspetto fisico possono generare ansie, insicurezze, vergogna, perdita di autostima. Può non essere facile rinunciare all’immagine di sé bambino e accettare che il proprio corpo sessuato possa essere oggetto di attenzione e desiderio altrui. Attraverso i coetanei e il gruppo dei pari, l’adolescente ha riscontro diretto dell’effetto del suo “nuovo” corpo, creandosi di conseguenza una rappresentazione di sé come gradevole o sgradevole, seducente o non desiderabile.


I comportamenti a rischio

Fonte di preoccupazione di molti genitori, la sessualità dell'adolescente può anche diventare terreno di sperimentazione di sé e del proprio limite e, in alcuni casi, può costituire uno degli ambiti in cui i ragazzi mettono in atto comportamenti a rischio. Il fascino del pericolo e della sfida, il brivido di essere scoperti o di infrangere le regole, si accompagnano al bisogno di mettersi alla prova, spingendosi al proprio limite. Se da un lato tali comportamenti consentono di acquisire sicurezza in se stessi e di confrontarsi con i coetanei e con il mondo adulto, dall’altro espongono gli adolescenti a situazioni che hanno il potenziale per trasformarsi in pericoli reali.

Ne sono esempi l’uso di droghe o altre sostanze, l’eccesso di alcolici alla ricerca di sensazioni forti, la promiscuità sessuale o il mancato uso di precauzioni. Sebbene indubbiamente dannosi dal punto di vista fisico, psichico e sociale, è importante cercare di comprendere il significato che si cela dietro tali comportamenti che, nella sua visione inesperta, goffa e incerta, sembrano fornirgli una via di uscita dalle insicurezze e incertezze di questa fase della vita.



Uno sguardo antropologico all’adolescenza


Una delle possibili spiegazioni che vengono fornite per comprendere la tendenza degli adolescenti ad esporsi a situazioni di pericolo, riprende aspetti antropologici e psico-sociali del processo di crescita, richiamandosi al concetto, nella modernità quasi totalmente dimenticato, di rito di passaggio. 

Nei secoli passati, e ancora attualmente nelle società a tradizione orale, i momenti di passaggio da una fase della vita alla successiva, sono esplicitamente definiti e ritualizzati, contenuti all’interno di una cornice culturale, simbolica, valoriale e sociale che attribuisce loro un preciso significato condiviso. Al contrario, la nostra società attuale è caratterizzata dall’assenza di un ordine simbolico stabile, sostenuto da valori comuni, mentre si rafforza la tendenza all’individualità a scapito della dimensione sociale. Tutti questi elementi, insieme ad altri di diversa natura e che esulano dall'argomento qui trattato, rendono più difficoltosa la transizione dell’adolescente dallo status di bambino verso quello di giovane adulto.

 

Ogni schema iniziatico prevede un certo numero di processi che comportano mutamenti nella psiche del bambino che li affronta (i cui dettagli variano nel merito a seconda della cultura di riferimento), a partire dalla separazione dai genitori e dalla famiglia, al lutto per la perdita del mondo e del corpo infantile, l’assunzione di una identità sessuale stabile e, di conseguenza, il confronto con l’altro sesso, fino all'elaborazione di sentimenti di invidia e rivalità con gli adulti. 

 

Essendo necessari allo sviluppo, tutti questi fattori, se non socializzati e ritualizzati in una pratica condivisa, vengono comunque ricercati dall’adolescente in maniera spontanea, confusa e disfunzionale, attraverso il ricorso ad “iniziazioni” in gruppo, basate su temi di confronto, di sfida per determinare status individuale e gerarchie, prove di resistenza o di coraggio. 

Mancando un apparato simbolico di riferimento e una struttura ritualizzata, all'interno della quale mettersi alla prova, queste prove iniziatiche improvvisate possono rivelarsi altamente pericolose sia per l’incolumità dell’individuo che le sperimenta, sia per gli altri membri del gruppo, sia per terze parti.


Affrontare il disagio evolutivo


Ripercorrendo quanto presentato, l’adolescenza rappresenta un periodo critico e sensibile, che pone i ragazzi in trasformazione davanti a una serie di conflitti, resi ulteriormente complessi dalla mancanza di riti di passaggio definiti e istituzionalizzati e griglie valoriali a cui fare riferimento.

L’adolescente percepisce il carico dei compiti di sviluppo che deve affrontare durante questa fase, e si rende conto di dover sviluppare dei nuovi strumenti che al momento non possiede o non padroneggia. Da tutto questo si genera un disagio evolutivo.

Se il disagio rappresenta un vissuto fisiologico associato al regolare sviluppo, è anche vero che, spesso, questo viene nascosto o mimetizzato, rendendolo difficile da riconoscere, in quanto gestito dal singolo con una sofferenza “privata” e silenziosa. Altre volte, al contrario, il disagio si fa prepotentemente visibile nello scontro con i sistemi di appartenenza, in primis la famiglia (oggetto del prossimo articolo) e il sistema scolastico.

In alcune situazioni, tuttavia, il disagio evolutivo adolescenziale può diventare significativo e richiedere un aiuto esterno. Sono questi i casi in cui si manifestano comportamenti a rischio reiterati e apparentemente incontrollabili, ma anche l’insorgere di sintomi di malessere come sbalzi d’umore, ritiro sociale ed evitamento, periodi di depressione, difficoltà nell’alimentazione o nel sonno, scarsa concentrazione a scuola o episodi di ansia eccessiva e immotivata, come attacchi di panico.

Se per il bambino sono i genitori a decidere la consultazione con un professionista, l’adolescente ha la preziosa possibilità di assumere un ruolo più attivo nella richiesta di uno spazio di ascolto, di sostegno e di elaborazione per sé.

Allo stesso tempo, può capitare che siano ancora i genitori a prendere l’iniziativa, spesso perché preoccupati per comportamenti o atteggiamenti del figlio o per le considerevoli difficoltà che si manifestano nella relazione e nella comunicazione con lui.

 

 

In questi casi, lo psicologo può valutare, insieme alla famiglia, l’opportunità di dedicare il proprio intervento ai genitori, supportandoli nella loro funzione genitoriale, oppure prevedere uno spazio individuale con l’adolescente. Nelle situazioni più complesse, è possibile coordinare i due interventi, gioco forza complementari, così da aiutare il nucleo a trovare modalità di relazione e comunicazione alternative e più funzionali.





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