06 settembre 2021

Quando il gruppo di amici diventa deviante: un’analisi psicologica


Il fenomeno della devianza minorile di gruppo ha suscitato, negli ultimi anni, un grande allarme sociale, fomentato anche dai mezzi d’informazione nazionale, che hanno dato uno spazio sempre più ampio a questo genere di notizie, etichettando le bande minorili con il termine di “baby gang”. In realtà, la definizione è stata adoperata, in maniera piuttosto indiscriminata, in riferimento ad una estrema varietà di comportamenti devianti messi in atto da gruppi di adolescenti.

Per comprendere il fenomeno, in modo da ridimensionare l’allarmismo e passare ad un’analisi che possa condurre a soluzioni concrete, è importante soffermarsi sulle motivazioni psicologiche che portano gli adolescenti a creare gruppi e a cercare la trasgressione, anche per distinguere i casi in cui ciò sia funzionale alla crescita personale e allo sviluppo di una consapevolezza di sé e del mondo, da quelli in cui non lo è.



L’identità nel gruppo


Come già discusso in precedenza, l’adolescenza costituisce una fase dello sviluppo particolarmente complessa, articolata intorno alla definizione della propria identità e al confronto con le nuove esperienze del mondo esterno.

In questo periodo della vita, l’adolescente inizia a mettere in discussione le regole apprese in famiglia per sperimentarne e apprenderne di nuove, confrontandosi – e spesso scontrandosi – con le norme sociali.

Se la famiglia rimane un punto di riferimento, per un adolescente è innegabile l’importanza di instaurare relazioni significative con i coetanei. In questa fase, il gruppo dei pari assume una rilevanza notevole, non solo perché con esso viene speso gran parte del tempo, ma soprattutto in quanto rappresenta un’interfaccia tra il soggetto e la società circostante nel processo di formazione delle opinioni e delle forme di rappresentazione di sé e degli altri. L’identità collettiva del gruppo permette all'adolescente di sapere come orientarsi e quali valori perseguire nella vita (e quali no), come presentarsi e come agire nei confronti degli altri. In altre parole, il confronto coi pari permette di esplorare le modalità e le strategie che altre individualità usano per interpretare situazioni, gestire e risolvere problemi e apprendere norme e regole sociali, allo stesso tempo mettendo alla prova le proprie.

 

Inoltre, in quanto contesto di frontiera tra l’ambiente noto e rassicurante della famiglia e il mondo esterno, il gruppo svolge la funzione di contenere le ansie e le incertezze dell’adolescente, offrendosi come palestra di vita significativa, come specchio nel quale riconoscersi e come mezzo per sviluppare il proprio sé.

Questo accade poiché lo sviluppo della propria identità procede primariamente attraverso l’identificazione e il rispecchiamento negli altri, in quanto simili (e allo stesso tempo differenti) a sé. 

Durante l’adolescenza questa funzione di specchio viene ricoperta prevalentemente dal gruppo dei coetanei, all’interno del quale il ragazzo, attraverso meccanismi di proiezione ed identificazione, ha la possibilità di sperimentare nuove strategie cognitive, emotive e comportamentali.

 

 

 

In aggiunta, nel momento in cui gli adolescenti iniziano a sentire il bisogno di prendere le distanze dalla famiglia e dalla scuola per andare alla ricerca di una propria dimensione individuale, il gruppo fornisce accoglienza, protezione e riconoscimento per la nuova identità che si va formando. Gli adolescenti si supportano tra di loro, sperimentando così forme di solidarietà, di comprensione e di accettazione diverse da quelle familiari.

Questo passaggio risulta fondamentale per non sentirsi più figli o allievi, bensì individui liberi di sperimentare nuove regole, nuovi modi di stare in relazione e nuove dimensioni, quali l'autonomia, l'espressività, la creatività, l'affettività, la sessualità e l'affermazione personale. 

 

In definitiva, all’interno del gruppo l’adolescente può trovare uno spazio in cui può esprimersi con maggiore libertà ed autonomia e ricevere la sicurezza e il sostegno necessari per superare i compiti di sviluppo connessi a questa fase evolutiva.



L’identità di gruppo


Anche se il rapporto con i coetanei non è una prerogativa esclusiva all’adolescenza, bensì un’esperienza significativa che accompagna tutto il processo di crescita, le caratteristiche che il gruppo dei pari assume a questa età sono da considerarsi del tutto particolari e uniche, e per questo degne di approfondimento.

I gruppi sono costituiti in genere da compagni di scuola e da ragazzi cresciuti nello stesso quartiere, che abitualmente si incontrano e condividono luoghi di ritrovo precisi. Le attività svolte nel gruppo adolescenziale sono profondamente diverse da quelle tipiche dell’infanzia, e lo scopo ludico dell’aggregazione lascia il posto a passatempi ed esperienze differenti. Se tra i bambini e i preadolescenti è perlopiù frequente la partecipazione ad iniziative strutturate all’interno di un contesto socio-istituzionale, come sport o corsi, in adolescenza prevale la sperimentazione di forme di aggregazione spontanea, che rappresentano un tentativo anche simbolico di eludere il controllo o l’ingerenza degli adulti e delle regole da loro imposte.

Tipicamente, il gruppo in adolescenza può trascorrere anche intere giornate nello stesso luogo e in modo apparentemente inoperoso. In questo senso, a differenza di quanto avviene in precedenza, il gruppo dei pari non svolge vere e proprie funzioni operative, bensì ricopre essenziali funzioni affettive, relazionali, contenitive e di sostegno ai suoi membri.

Il gruppo adolescenziale possiede un proprio linguaggio, regole e valori, orientando atteggiamenti e comportamenti dei singoli membri. Il gruppo diventa un riferimento anche dal punto di vista normativo, al punto che le condotte e gli atteggiamenti vengono generalmente uniformati a quelli dei coetanei. 

 

Talvolta, però, questo legame di dipendenza impedisce al singolo di sottrarsi alle proposte del gruppo e di mantenere il proprio punto di vista minoritario, pena l’esclusione e lo stigma di codardo piuttosto che traditore. A tale proposito, l’appartenenza al gruppo può arrivare a richiedere autentiche dimostrazioni di lealtà, determinando fenomeni di conformismo e di contagio anche intensi. Per questo motivo, quando il gruppo è incline a sperimentare azioni devianti, le relazioni con i pari possono costituire un fattore di rischio per la condivisione di comportamenti trasgressivi, violenti o illegali.

In base a quanto affermato, non dovrebbe stupire il dato secondo cui la maggior parte dei reati compiuti dai minorenni presenta la co-imputazione, ossia l'essere stati commessi in gruppo. Sono tipici di questa dinamica deviata i comportamenti più fortemente connotati in termini espressivi (ad esempio vandalismo o atti di aggressività), piuttosto che le condotte violente riconducibili a finalità acquisitive (come furti o rapine).

In questo senso, il gruppo può assumere una funzione di fattore precipitante verso la delinquenza adolescenziale, in particolare laddove vi sia un terreno reso fertile da elementi predisponenti e antecedenti alle esperienze coi pari, quali un’identità fragile, problemi emotivi, un ambiente familiare complesso e disfunzionale, o una carriera scolastica difficile.



Analisi del gruppo deviante


Quando si esamina la struttura dei gruppi giovanili, è possibili individuare due caratteristiche essenziali.

In primo luogo l’obbedienza al leader, la cui figura diventa incarnazione della norma. Così, l’azione del singolo – il leader – condiziona il modo di agire dell’intero gruppo, il quale a sua volta influenza l’atteggiamento del singolo membro, che spesso si trova a mettere in atto comportamenti che isolatamente non commetterebbe. Per tale meccanismo, nel gruppo deviante si hanno di frequente modificazioni anche rilevanti della norma, tanto da rendere lecito – e desiderabile – ciò che fuori dal gruppo, ossia nella comunità, si considererebbe illecito. La spartizione di eventuali responsabilità, la delega della decisione ad una terza parte (il leader), rendono meno gravoso il pensiero di commettere azioni che si sa essere non consentite.

Una seconda caratteristica comune ai gruppi devianti consiste nel disprezzo nei confronti di un nemico, tipicamente un altro gruppo, ma anche un singolo o l’intera società. Il bisogno di individuare gruppi rivali è funzionale al rinforzo dell’identità di gruppo, in quanto l’odio per l’esterno compatta i membri all'interno, a un ideale comune, e garantisce l’obbedienza e il rispetto delle regole del gruppo stesso. Di conseguenza, il gruppo può trovarsi ad agire anche pericolosamente verso gli altri, prevaricando e attaccando individui e ambienti ad esso estranei, o ritenuti nemici. Queste condotte sono spesso anche occasione per sottoporre i nuovi membri a delle sorta di “prove di iniziazione”, per valutarne la forza, il coraggio e soprattutto l’obbedienza, in modo da poter anche assegnare loro un ruolo e inquadrarli nella gerarchia.

 

Il mondo giovanile appare, in questo senso, suddiviso in tante “bande”, ossia delle aggregazioni patologiche di gruppo riunite ognuna attorno a un proprio capo e mosse da meccanismi di coesione, e sovente di fusione. Tali dinamiche rispondono al bisogno di condividere le proprie frustrazioni, paure e ansie con gli altri membri del gruppo, attraverso l’identificazione proiettiva (in cui un singolo proietta su qualcun altro un proprio affetto o un impulso ritenuto inaccettabile, attribuendolo ad un altro singolo o gruppo, in modo da “esternalizzarlo” e poterlo affrontare senza ledere se stesso).

A tali meccanismi si aggiunge la negazione del bisogno e della dipendenza infantili, tipicamente esasperata dai valori virili espressi dal gruppo, che possono radicalizzarsi nel bullismo e nell’agire violento. Ciò può portare all’acting out, cioè l’espressione di sentimenti, desideri o impulsi attraverso un comportamento incontrollato, con apparente noncuranza delle possibili conseguenze a livello personale o sociale. Semplificando, si tratta della ricerca di una risoluzione emotiva immediata. Gli acting out giovanili, in particolare, sono tipicamente caratterizzati da un iper-investimento del coraggio e dell’autonomia, oltre che da un bisogno disperato di farsi riconoscere e rispettare dagli altri e dalla società.

In questo senso, il passaggio all’agire violento (fisico e/o verbale), rappresenta un atto liberatorio anche catartico, in quanto la violenza e la criminalità sono vissute come un modo per catturare l’attenzione dell’adulto e soddisfare il bisogno di riconoscimento del gruppo in pubblico, al fine di costruire una propria identità, sia pure deviante.

La trasgressione, dunque, può avere innanzitutto una funzione di esibizione sociale, ma la forza del suo richiamo può nascere anche da altri meccanismi. I comportamenti aggressivi possono avere funzione anti depressiva e di fuga dalla realtà, per contrastare la noia quotidiana, il senso di inadeguatezza e la mancanza di prospettive future da parte dei suoi membri. Inoltre, la trasgressione costituisce un meccanismo contro-fobico, cioè rappresenta per l’adolescente un atto di anticonformismo, una sfida alle convenzioni sociali e un atto coraggioso, una prova di forza in senso iniziatico, che da un lato a conquista la stima altrui, e dall’altro vince la propria paura, rigidamente negata ma comunque presente e determinante.

Oltre al desiderio di potersi riappropriare della vita sociale e dei propri spazi e luoghi di ritrovo, ciò che muove i ragazzi verso lo scontro è la paura di non farcela, di non avere successo e di non avere un futuro, paura che cercano di esorcizzare attaccando gli altri in modo da far provare anche a loro quelle stesse sensazioni di malessere, nella vana speranza di “scaricare” le proprie o, almeno, di condividerne una parte.

 

Tuttavia, si deve notare che la trasgressività in sé è una caratteristica universale dell’adolescenza, come rinegoziazione e messa in discussione del rapporto con le regole educative e sociali. È importante distinguere i casi in cui la tendenza alla trasgressione rappresenti un’espressione di un desiderio di crescita e di maggiore autonomia, che può orientarsi in modo creativo e fecondo, da quelli in cui, invece, si presenti come un segnale di un disagio individuale, familiare o sociale, tipicamente distruttivo.



Conclusioni


Anche se le modificazioni e le acquisizioni che caratterizzano l’adolescenza consentono al ragazzo di raggiungere un certo livello di indipendenza e autonomia, dal punto di vista fisico ed intellettuale, ciò non significa che i suoi comportamenti possano ritenersi esclusivamente frutto di una pura scelta individuale, che non risente delle influenze esterne.

Le condotte adottate e le scelte compiute dal ragazzo vanno considerate ed analizzate in relazione al contesto sociale in cui si realizzano, perché da questo strettamente dipendenti. In questa prospettiva, anche fenomeni quali il disagio e la devianza devono essere esaminati in un’ottica multidimensionale, in modo da tenere in debita considerazione la famiglia, la classe scolastica ed il gruppo dei coetanei, e come questi entrino in rapporto con il più ampio contesto delle norme culturali, dei valori dominanti e dello sviluppo economico, che caratterizzano la società di appartenenza in un determinato momento storico. 

 

Il comportamento antisociale non andrebbe dunque sottostimato e, soprattutto se rappresenta una fonte di disagio, è importante che sia adeguatamente valutato da un professionista, in grado di comprendere se si tratti di un episodio transitorio, parte della crescita e funzionale alla creazione identitaria o, al contrario, se rappresenti la prima fase di un processo verso la stabilizzazione della devianza.

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