14 aprile 2022
Soprattutto negli ultimi anni, i disturbi dell’apprendimento sono diventati un tema sempre più rilevante, oltre che argomento di continua discussione. Ciò è principalmente dovuto alla crescita costante nella loro incidenza, che li ha portati a rappresentare una delle problematiche più frequentemente inviate ai servizi del territorio. In base all’ultima indagine disponibile, relativa all’anno scolastico 2018/2019, gli alunni frequentanti le scuole italiane a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento sono il 4,9% del totale, da confrontare con lo 0,7% del 2010/2011.
I DSA indicano una categoria di disturbi del neurosviluppo, chiamati Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento, caratterizzati dalla difficoltà nel bambino di leggere in modo corretto e fluente, scrivere in modo adeguato e fare calcoli. Tipicamente, questi problemi cominciano a rendersi evidenti in età evolutiva, cioè nel momento in cui il bambino incontra ostacoli crescenti nello sviluppo di capacità nuove e mai acquisite prima. Per questo, si manifestano comunemente nella prima infanzia, prima dell'entrata a scuola, ma è possibile che insorgano anche in seguito, nel corso delle scuole medie e, in qualche caso, anche alle superiori.
Si definiscono “specifici” perché sono circoscritti a determinati processi, necessari per apprendere attività generalmente ritenute automatiche, come la lettura e le abilità di calcolo. In altre parole, i disturbi dell’apprendimento sono limitati ad un dominio di abilità preciso, mentre il funzionamento intellettivo generale non risulta in alcun modo compromesso, potendo anzi risultare anche sopra la media. Ciò significa che, ad esempio, per poter ricevere una diagnosi di dislessia, un bambino non deve presentare deficit cognitivi, problemi ambientali o psicologici, o deficit sensoriali o neurologici.
I disturbi dell’apprendimento implicano alterazioni dell'attenzione, della memoria, della percezione, del linguaggio e del modo di organizzare le informazioni. A questo proposito, è importante precisare che i disturbi specifici dell’apprendimento rappresentano prima di tutto una neurodiversità, ossia un modo diverso e alternativo di apprendere e concepire il mondo. Ciononostante, tipicamente a causa delle richieste del contesto, questi disturbi sono spesso alla base di difficoltà a livello personale, sociale, accademico e/o professionale.
Quali tipi esistono?
In base alla diversa specificità dell’area di apprendimento interessata, sono stati riconosciuti diversi tipi di DSA, raggruppati in quattro categorie principali: dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia.
La dislessia consiste in varie difficoltà nelle capacità di decodifica del testo scritto, e si manifesta tipicamente in termini di rapidità, fluidità e correttezza di lettura. Ad esempio, all’inizio del percorso scolastico, il bambino può avere problemi a riconoscere le lettere dell’alfabeto, a comprendere la corrispondenza fra segni grafici e suoni e a rendere automatico il processo di conversione dalla lettera al suono. Ostacolando la lettura, la dislessia ha notevoli conseguenze sull’apprendimento scolastico, ma anche sulle attività quotidiane che richiedono la lettura di testi scritti.
La disortografia interessa invece la componente costruttiva della scrittura, e consiste nella difficoltà a scrivere in modo corretto da un punto di vista ortografico. Gli errori sono comunemente di tipo fonologico (come l’inversione della lettera v con la f, di suono simile) o visuospaziale, se si confondono lettere graficamente simili (come la b e la d). Questa difficoltà ostacola la corretta applicazione delle regole di conversione dal suono alla parola scritta, in altre parole il riconoscimento dei suoni che compongono una certa parola. Inoltre, le persone con disortografia faticano a individuare le regolarità o irregolarità ortografiche (ad esempio, la differenza tra “ha” e “a”) e il loro corretto ordine (è comune l’inversione di s e c nello scrivere “sc”).
Proseguendo, la disgrafia rappresenta un problema specifico della scrittura nella sua componente esecutiva, grafo-motoria. Si manifesta come una difficoltà nello scrivere in modo fluido, veloce ed efficace, con una scrittura tipicamente poco leggibile. È comune un’impugnatura scorretta della penna o matita, così come difficoltà a usare in modo adeguato lo spazio nel foglio, a produrre forme geometriche o a copiare immagini.
La discalculia, infine, riguarda un insieme di difficoltà riguardanti il sistema dei numeri e del calcolo, che comporta numerosi problemi a comprendere ed operare con i numeri e a rendere automatici alcuni compiti numerici e di calcolo. Comunemente, ad essere compromessa è in particolare la cognizione numerica, ossia l’insieme di quei meccanismi di quantificazione, seriazione e comparazione che rappresentano il “senso” del numero. Spesso i bambini e i ragazzi con discalculia faticano a capire il valore posizionale delle cifre e ad associare un numero ad una quantità, con un’importante limitazione nelle capacità di calcolo a mente. Soprattutto i bambini presentano importanti difficoltà nelle procedure esecutive, implicate ad esempio nella lettura, scrittura e messa in colonna dei numeri, e nel ricordare fatti numerici e rapporti fissi come le tabelline.
I disturbi dell’apprendimento, dunque, sono di varia natura, ognuno con una propria fisionomia, e possono manifestarsi in modalità anche molto diverse tra loro. Ciononostante, non è infrequente che si associno tra di loro, venendo diagnosticati a coppie o anche tutti insieme (in maniera, a onor del vero, piuttosto controversa).
Riconoscerli e diagnosticarli
La diagnosi dei disturbi dell’apprendimento segue delle tempistiche precise. In particolare, è necessario che sia concluso il processo di insegnamento delle abilità di lettura e scrittura e di calcolo. Di conseguenza, la diagnosi di dislessia, disgrafia e disortografia può essere fatta a partire dalla seconda classe della primaria, mentre per la discalculia si attende fino alla terza.
Se la diagnosi può essere ufficializzata solo a partire da questi momenti, è vero anche che è possibile indentificare degli indicatori precoci, o fattori di rischio, già a partire dalla scuola materna. Questi segnali non sono in alcun modo definitivi per stabilire la futura presenza di un disturbo; tuttavia, una loro attenta osservazione permette un intervento preventivo e tempestivo, che può compensare notevolmente le difficoltà future.
I possibili fattori di rischio, riconoscibili già a 4-5 anni, possono essere di natura comunicativo-linguistica, motorio-prassica, uditiva e visuo-spaziale. Nel primo ambito si possono trovare difficoltà nel memorizzare nuove parole, filastrocche o frasi in rima, insieme a un vocabolario piuttosto limitato e scarse capacità di costruzione delle frasi. Dal punto di vista motorio-prassico, il bambino può faticare a rappresentare e riprodurre disegni e forme geometriche, impugnando matite e pennarelli in modo improprio e presentando problemi a manipolare piccoli oggetti; inoltre, può apparire goffo e impacciato nei movimenti. Le difficoltà uditive possono comportare problemi a ripetere e individuare sillabe e parole simili, suoni e toni particolari. Infine, dal punto di vista visuo-spaziale, il bambino può incontrare notevoli difficoltà nel ritagliare o nel costruire (ad esempio, comporre un puzzle) e può presentare una scarsa capacità di organizzazione in giochi come percorsi a ostacoli e labirinti.
A partire dalle scuole elementari, i possibili segnali possono farsi più complessi, includendo aspetti come difficoltà nella lettura, nella scrittura e nell’uso dei numeri. In particolare, la lettura può essere lenta, con problemi a decifrare le lettere, incertezza nell’uso delle sillabe e scarsa conoscenza del significato delle parole. Rispetto alle difficoltà di scrittura, le manifestazioni più evidenti consistono in una scarsa autonomia nella scrittura di parole, nella sostituzione o elisione di lettere e in un atto della scrittura lento, logorante e difficoltoso. L’uso dei numeri, invece, è ostacolato dalla presenza di numerosi errori nel conteggio da 0 a 20, nel passaggio dalla scrittura alla pronuncia dei numeri e a difficoltà nel calcolo a mente, in particolare nei numeri fino a 10.
Dal momento che questo tipo di segnali risultano spesso più evidenti e chiari rispetto a quelli riconoscibili nel corso della scuola dell’infanzia, l’ingresso nella scuola elementare rappresenta un momento cruciale per l’individuazione dei bambini a rischio, da parte degli insegnanti, ma anche dei genitori.
I primi anni di scuola dell’obbligo rappresentano altresì un periodo critico, in quanto, nell’assenza di una diagnosi, il bambino, la famiglia, ma anche la scuola, si trovano comunemente in uno stato di confusione, davanti ad un basso rendimento di cui si fatica a comprendere il motivo. In questa prima fase, gli insegnanti analizzano l’impegno dello studente e le sue condizioni familiari e spesso lamentano di scarso impegno e interesse, ritardi nelle consegne dei compiti e problemi di comportamento in classe. Il rifiuto e le problematiche sembrano insorgere solo nel momento in cui si chiede al bambino di leggere o scrivere, mentre nell’interazione con i pari, ad esempio durante l’intervallo, non pare avere particolari difficoltà.
A ciò si aggiunge la confusione dei genitori, i quali oscillano in modo incerto tra comportamenti severi e punitivi, volti a invitare all’impegno e alla responsabilità, e momenti di speranzosa attesa, in cui si augurano che il tempo e la maturazione possano portare ad un miglioramento spontaneo della situazione.
Da una parte, quindi, si tende a dare ragione agli insegnanti, attribuendo le difficoltà a scarso impegno o ad esercizio insufficiente, dall’altra ci si abbandona alla speranza che le problematiche si rivolvano da sé, con il trascorrere del tempo. Quest’ultimo approccio si rivela particolarmente problematico, in quanto di frequente il momento di attesa prefissato, di qualche mese, si trasforma in anni e anni di stallo, che privano il bambino di una pronta diagnosi e, di conseguenza, di un intervento immediato e per questo efficace. Questi bambini affrontano la scuola con estrema difficoltà, la vivono come uno sforzo immane, una fatica estenuante, e spesso vanno incontro a bocciature e continui debiti nel momento in cui fanno l’ingresso nelle scuole superiori, un altro dei periodi critici per l’individuazione dei disturbi dell’apprendimento.
Soprattutto nei casi in cui gli adulti intorno a sé sembrano spaesati e confusi davanti alle proprie problematiche, i bambini si sentono incompresi dai genitori e dagli insegnanti, iniziando ben presto a mettere in dubbio le proprie capacità e intelligenza, con notevoli conseguenze sull’autostima. Quando si sente giudicato pigro, svogliato o sfaticato, il bambino reagisce comunemente sviluppando un forte senso di colpa e un sentimento di inferiorità rispetto agli altri, tutti fattori che a loro volta influenzano negativamente l’apprendimento e le prestazioni scolastiche.
Qualora si sospetti la presenza di un disturbo dell’apprendimento, è necessario confermare la diagnosi mediante appositi test, somministrati da un professionista, con l’obiettivo di accertare lo stato degli apprendimenti delle abilità strumentali e il funzionamento cognitivo, neuropsicologico ed emotivo. La diagnosi è assegnata solo nel caso in cui i test di lettura, scrittura e calcolo siano significativamente al di sotto di quanto ci si aspetterebbe in base all’età, livello di istruzione e quoziente intellettivo del bambino o ragazzo. Inoltre, è importante che la compromissione rilevata sia specifica, ossia limitata a un insieme di capacità definite, senza che altre ne siano interessate.
Nella fase diagnostica si individuano altresì i fattori di vulnerabilità, ad esempio una scarsa autostima, e i fattori protettivi, come una certa capacità sopra la media o la presenza di un buon sostegno sociale. Un aspetto che non deve essere assolutamente tralasciato è la reazione, del bambino, dei genitori e della scuola, alla diagnosi. Sono molto frequenti i casi di mancata accettazione della diagnosi, soprattutto dai bambini, e in particolare nei casi in cui il processo diagnostico è portato a compimento in maniera impersonale, frettolosa e routinaria. Da una parte, il bambino può esprimere il proprio disagio attraverso un comportamento ritirato, inibito e chiuso in se stesso, in un approccio di evitamento del confronto. Alla reazione di tipo depressivo si contrappone invece quella di tipo aggressivo, con sentimenti e manifestazioni di rabbia, comportamenti disturbanti e di opposizione nei confronti delle insegnanti, e aggressività nei confronti degli adulti ma anche dei pari. Pur contrapposte, questi pattern di reazione possono combinarsi e avvicendarsi in continuazione, portando il bambino a manifestare diversi tipi di comportamento in momenti diversi. Il pericolo della mancata accettazione della diagnosi, in particolare, è di rimanere intrappolati in queste modalità, fino all’instaurazione di circoli viziosi in cui i fallimenti, lo scarso impegno scolastico e la demotivazione si alimentano a vicenda.
A partire da queste considerazioni, si imposta infine un intervento adeguato, che tenga conto delle condizioni particolari e delle caratteristiche del caso, e che si focalizzi sul potenziamento delle capacità di apprendimento, senza tralasciare gli aspetti psicologici, emotivi e motivazionali.
Come intervenire?
In base a quanto considerato nel paragrafo precedente, risulta evidente che la programmazione degli interventi debba prevedere sia il trattamento del disturbo specifico, mediante operatori specializzati, sia un’attenzione particolare all’aspetto emotivo-relazionale. Sarebbe infatti estremamente superficiale, se non proprio inutile, impostare un intervento con un bambino o un ragazzo che non accetta la propria diagnosi, che non l’ha compresa o che si sente preso in giro o giudicato dagli altri a causa di essa. I ragazzi a cui viene diagnosticato un disturbo dell’apprendimento mostrano comunemente una grande sofferenza psicologica, legata ai vissuti delle loro carenze, che può avere notevoli ripercussioni sull’autostima, sulla gestione emotiva e sulla motivazione ad apprendere.
Allo stesso modo, non è possibile ignorare il punto di vista dei genitori, spesso anch’essi spaventati, confusi o increduli per la nuova diagnosi. Per essere un supporto concreto per i figli, è importante che siano aiutati a comprendere e accettare le loro difficoltà, instaurando un assetto di comunicazione libero e aperto ed evitando di colpevolizzare i ragazzi attribuendo gli insuccessi ad una loro pigrizia o mancanza di impegno. Questa tendenza, particolarmente comune, porta il ragazzo a sentirsi giudicato e non riconosciuto nei suoi sforzi e difficoltà, così che, per proteggersi, inizia ad evitare i compiti o a mettere in atto comportamenti oppositivi o disturbanti, funzionali a mascherare il proprio senso di inadeguatezza. Ciò provoca una degenerazione progressiva delle relazioni con gli adulti, che di ritorno diventano sempre più rigidi nell’attribuire i comportamenti del ragazzo a svogliatezza e mancanza di responsabilità. Si genera in questo modo un circolo vizioso particolarmente persistente, che rende più difficile la comprensione della natura del deficit specifico e, di conseguenza, compromette l’efficacia dell’intervento.
Per questo motivo, il trattamento riabilitativo inizia prima di tutto dall’analisi dei rapporti fra il disturbo di apprendimento diagnosticato, i problemi comportamentali e adattivi manifestati dal ragazzo, e l’atteggiamento degli adulti che lo circondano, in particolare i genitori e gli insegnanti.
A partire da queste considerazioni, si imposta un piano di trattamento, composto da percorsi personalizzati con l’obiettivo di allenare la specifica abilità compromessa, come le capacità di lettura, scrittura o calcolo, e contemporaneamente insegnare l’uso di strategie e strumenti di compensazione.
Questi rappresentano un’importante risorsa, se introdotti al ragazzo e alla famiglia in modo corretto. Si tratta di strumenti che consentono di compensare la debolezza funzionale dovuta al disturbo dell’apprendimento, rendendo meno difficoltosa l’esecuzione di quei compiti e attività che possono risultare compromessi. Sono strumenti compensativi la calcolatrice, i software per produrre mappe concettuali, i formulari, ma, in un certo senso, possono rientrare in questa categoria anche gli occhiali da vista, che permettono ad una persona miope di leggere quanto scritto sulla lavagna.
Gli strumenti compensativi rappresentano pertanto delle modalità differenti per raggiungere l’obiettivo di apprendimento e sono, a tutti gli effetti, parte del metodo di studio, inteso come quell’insieme di strategie efficaci rispetto al proprio stile di apprendimento.
Nell’intervento per i disturbi dell’apprendimento, gli strumenti compensativi si accompagnano tipicamente alle cosiddette misure dispensative, vale a dire l’esonero da alcune prestazioni, come la lettura ad alta voce, o il riconoscimento di tempi personalizzati per la realizzazione delle attività, oppure ancora metodi di valutazione che privilegiano la sostanza, il contenuto del testo, piuttosto che la forma (come ad esempio l’ortografia). L’obiettivo di queste misure consiste nel predisporre una modalità di apprendimento più adatta alle caratteristiche del ragazzo, riducendo gli effetti del disturbo.
Tuttavia, se per le forme lievi può essere sufficiente la combinazione di strumenti compensativi e misure dispensative, nei casi in cui la compromissione si riveli di livello medio o grave può essere necessario studiare dei percorsi di potenziamento e riabilitazione delle abilità carenti, con degli interventi a carattere neuropsicologico. In questo caso, lo psicologo andrà a lavorare sui deficit implicati con strumenti specifici. Nel caso della dislessia, ad esempio, si opera sul processamento fonologico, sul focus attentivo e sulle capacità di analisi visiva, oltre che sulle abilità di apprendimento implicito, che possano andare oltre il testo scritto. Per la disgrafia, invece, si orienta la riabilitazione verso il controllo motorio e il potenziamento delle componenti percettivo-motorie e visuo-motorie.
In conclusione, l’individuazione precoce dei disturbi dell’apprendimento, che parte dal riconoscimento dei primi segnali durante gli anni della scuola dell’infanzia e all’inizio delle elementari e culmina nel momento della diagnosi ufficiale, permette la strutturazione di percorsi di intervento mirati e personalizzati, tanto più efficaci quanto sono considerati anche gli aspetti emotivi e relazionali dello studente e del suo ambiente, famiglia compresa.
Informazioni personali

- Emma Messina
- Sono una psicologa abilitata e un’insegnante, con esperienza più che quinquennale nel settore.
Nel mondo scolastico, ho maturato un'esperienza particolare nei confronti di ragazzi con disturbi dell’apprendimento, problemi di motivazione e di ansia da prestazione. Da anni tengo lezioni sul metodo di studio a studenti di ogni età, per promuovere l’autonomia, rinforzare l’autostima e recuperare le abilità scolastiche.
Parallelamente, offro un servizio di sostegno ai genitori, affinché possano mantenere e consolidare i risultati ottenuti dai figli in un clima di serenità e reciproca comprensione.
Servizi offerti:
- Processo di diagnosi e Valutazione Psicologica;
- Tutoring elementari/medie/superiori/università;
- Orientamento;
- Crescita personale;
- Sostegno genitoriale;
- Consulenza psicologica.
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