15 novembre 2020

L’isolamento sociale volontario: gli hikikomori


Hikikomori è una parola giapponese che significa "stare in disparte", usata per identificare chi decide di ritirarsi volontariamente dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria abitazione, spesso in una singola camera, senza intrattenere alcun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.

 

Originatosi in Giappone, il fenomeno si è rapidamente diffuso anche in tutto il resto del mondo occidentale, compresa l’Italia, e riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%). Tuttavia, è importante notare che il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora, così come l’incidenza sui bambini, in quanto non esistono dati ufficiali sulla reale diffusione del problema nel nostro paese.
 

Per quanto riguarda il Giappone, le indagini condotte finora dal governo hanno identificato oltre 1 milione di casi, con un’altissima incidenza anche nella fascia di popolazione sopra i 40 anni. Sebbene l'hikikomori insorga principalmente durante l'adolescenza o la prima età adulta (20-25 anni), tale problematica tende a cronicizzarsi molto facilmente e può durare potenzialmente tutta la vita.



Riconoscere i segnali

 

Chi è sulla via per diventare un hikikomori può mostrare il proprio disagio in svariati modi, dal restare chiusi in casa tutto il giorno, all’uscire solo di notte o alla mattina presto, quando si ha la certezza di non incontrare nessuno, fino a fare finta di recarsi a scuola o al lavoro, girovagando invece senza meta per tutto il giorno.
Effettivamente, i giovani con questa problematica non presentano alcun interesse verso attività esterne (come frequentare la scuola o avere un lavoro), e tipicamente non intrattengono nessuna relazione con compagni o colleghi.

Per poter parlare di hikikomori, il ritiro sociale deve persistere per almeno sei mesi, e non devono essere presenti altri disturbi i cui sintomi potrebbero essere alla base della chiusura in se stessi, come schizofrenia o depressione.

Si tratta di giovani che percepiscono una distanza tra ciò che sono e ciò che pensano dovrebbero essere, colmandola con sentimenti di impotenza, scoraggiamento, frustrazione e, in certi casi, rabbia. Così, progressivamente, cominciano le ripetute assenze a scuola, fino a sfociare nell’assenteismo, frequentissimo nei casi di hikikomori, che può durare anche anni. Per fronteggiare il proprio malessere, gli hikikomori restringono sempre di più lo spazio intorno a sé stessi, fino a rimanere confinati nelle proprie stanze. Gradualmente, le interazioni diventano sempre più marginali, fino a che smettono anche di mangiare con la propria famiglia. Un altro importante segnale è l’inversione del ritmo sonno-veglia, per cui spesso dormono di giorno preferendo stare svegli nelle ore notturne, dedicandosi ad attività solitarie come ad esempio, ma non necessariamente, navigare in internet.


Le cause

 

Come tutti i fenomeni psicologici, si diventa hikikomori per molteplici cause. Dal punto di vista del carattere, i ragazzi hikikomori sono spesso intelligenti e dotati, ma anche particolarmente sensibili e inibiti socialmente, un temperamento che porta, con altri fattori, alla difficoltà nello stabilire relazioni soddisfacenti e durature, e nell'affrontare efficacemente le difficoltà e delusioni della vita.

Solitamente, le madri dei ragazzi hikikomori tendono a essere eccessivamente protettive ed apprensive nei confronti dei figli, mentre i padri sono spesso assenti, generalmente per motivi di lavoro. Per motivi diversi, quindi, i genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale il più delle volte rifiuta qualsiasi tipo di aiuto, faticando a riconoscere la problematicità del proprio stile di vita.

Rispetto alla scuola, si può notare che l'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo, tanto che, come descritto in precedenza, un’assenza prolungata o il rifiuto di frequentare le lezioni sono uno dei primi campanelli d'allarme dell'hikikomori. È frequente, a questo proposito, che la dinamica di isolamento venga innescata da un episodio o una storia di bullismo.

 

Ma, soprattutto, il fenomeno degli hikikomori è intrinsecamente sociale, in quanto questi individui sviluppano una visione molto negativa della società, di cui soffrono particolarmente le pressioni di realizzazione sociale, dalle quali cercano, attraverso l’isolamento volontario e totale, di fuggire. Oppressi dai valori sociali, fondati sull’estremo perfezionismo e sull’imperativo del dover sempre primeggiare, sia a scuola che al lavoro, gli hikikomori non si sentono all’altezza degli standard loro richiesti e delle aspettative di genitori, insegnanti e coetanei, e preferiscono rinchiudersi in casa, così da evitare di dover fronteggiare una realtà vissuta come opprimente. La paura del giudizio si associa alla sofferenza legata alla competizione, portando a sentimenti di impotenza, perdita di controllo e di fallimento e a una crescente difficoltà e demotivazione ad affrontare la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa. Di conseguenza, il disagio non può che aumentare con il crescere dell’età. Mentre gli hikikomori rimangono chiusi nella bolla che si sono costruiti, i coetanei si diplomano, si laureano, trovano lavoro e si fidanzano, così che il confronto con gli altri è reso sempre più insopportabile.

Infine, è importante differenziare il fenomeno degli hikikomori dalla dipendenza da internet, ossia un disturbo che spinge la persona che ne soffre a fare un uso smodato e patologico di computer, tablet o cellulari dotati di connessione alla rete. Nonostante la dipendenza da internet sia spesso indicata come una delle principali cause dietro all'esplosione di casi di hikikomori, in realtà l’uso smodato delle tecnologie rappresenta una possibile conseguenza dell'isolamento, non una sua causa.







Isolamento volontario e isolamento forzato

 

Giunti a questo punto, è doveroso fare una distinzione tra isolamento volontario e isolamento forzato, per non rischiare di confonderne cause e implicazioni. L'hikikomori vive il ritiro sociale come una propria scelta, anche se più o meno consapevole, per sottrarsi a una realtà che non si sente in grado di affrontare. In questi casi, quindi, l’isolamento sociale ha una base motivazionale ed è, essenzialmente, volontario. Le difficoltà di intervenire per aiutare un caso di hikikomori sono anche dovute alla sensazione di benessere che tipicamente accompagna il suo isolamento, poiché, nel momento in cui si sottrae alle pressioni dell’ambiente, il ragazzo prova sollievo, conforto e, in generale, un senso di maggiore leggerezza.

L'isolamento forzato, dall’altra parte, non ha tale base motivazionale e non viene attuato per sottrarsi al proprio ambiente, al quale invece si vorrebbe tornare. Ciò significa che le ripercussioni psicologiche sono necessariamente differenti e particolarmente negative, determinando forte sofferenza e intenso malessere, come già discusso in questo articolo. Pertanto, non si può parlare di hikikomori se l'isolamento risulta forzato, e non volontario.


Cosa fare se si sospetta un caso di hikikomori

 

Passando molto tempo nello stesso, piccolo ambiente, ripetendo giorno dopo giorno la stessa routine e le stesse attività, un hikikomori va a costruirsi un mondo che finisce per apparirgli come l'unico possibile, il solo in cui può esistere. La sua scelta è rimanere dentro la propria stanza, lontano dalle dinamiche di una società che disprezza e da cui si sente disprezzato, oltre che messo in difficoltà.

 


Per questo motivo, nella stragrande maggioranza dei casi, la richiesta non proviene direttamente dal ragazzo hikikomori, bensì sono i genitori, allarmati del comportamento del figlio, a sentire il bisogno di cercare un aiuto esterno, solitamente in seguito a numerosi tentativi, regolarmente frustrati, di fargli riprendere la scuola o farlo uscire dalla stanza.

Nel caso si sospetti o si tema di avere a che fare con una persona hikikomori, è fondamentale fare riferimento al proprio medico di fiducia o, preferibilmente, ad uno specialista della salute mentale. È della massima importanza che il trattamento psicologico sia iniziato il più precocemente possibile, per evitare che la problematica diventi cronica. Dopo un passaggio con i familiari, lo psicologo cercherà di ridurre le difficoltà iniziali alla cura, tipiche dei pazienti con ritiro sociale, affrontando le resistenze iniziali con un possibile trattamento a domicilio. Sarà cura dello psicologo, inoltre, sostenere la famiglia con un percorso dedicato e impostato sulle personali esigenze del caso.

 

Ciononostante, l’obiettivo comune a tutti gli interventi rimane quello di sospendere la situazione di isolamento fisico e sociale, portando l’hikikomori ad uscire dalla propria bolla, ossia dall’ambiente “sicuro” che si è costruito nel tempo, e sostenendolo ad assumere un ruolo maggiormente incluso e attivo nella società. Se il ritorno alla vita sociale può includere la ripresa della scuola o del lavoro, non può limitarsi a reintegrare l’individuo negli ambienti che ne hanno determinato l’isolamento, per non rischiare di provocare delle ricadute e quindi una ricomparsa della problematica. Per questo motivo sono importanti gli interventi di natura psicosociale, finalizzati ad accrescere le competenze psicologiche ed emotive e personalizzati a seconda delle caratteristiche del soggetto.

 

Chi ha deciso di chiudersi in una bolla non può e non deve essere trascinato fuori, ma sostenuto e convinto a farla scoppiare lui stesso, con una decisione pari a quella che lo ha portato a crearla, quindi aiutato ad affrontare in modo più sereno le difficoltà della vita quotidiana. 


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